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Ricordo
della Resistenza Il Giorno - anno 40, n. 153, 5 luglio 1995 MILANO - Una bandiera svolazzante di ceramica bianca può essere il simbolo di appartenenza alla nazione di un popolo che, comunque sia, fa fatica a riconoscere il concetto di "patria" e vive costantemente sotto la spinta di un individualismo sfrenato? Ricordando la "Resistenza" sembra di sì. Novantadue artisti (italiani e italianizzati) di varie generazioni, coordinati da Carmine Iandoli e Floriano De Santi, hanno operato ciascuno su una ceramica bianca a forma di bandiera svolazzante, riempiendola del senso della memoria dei cinquant'anni dalla liberazione. Dalle 92 "bandiere" è scaturita una mostra itinerante "Memorie: 50 anni dopo, 1945-1995" - patrocinata dall'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia e dall'Associazione Partigiani Cristiani - ora in corso a Milano, a Palazzo Bagatti-Valsecchi, sino al 28 luglio. Questo orizzonte temporale è "raccontato", illustrato, descritto nei modi più disparati e secondo tecniche artistiche tipiche di ciascuno dei partecipanti: dalla figurazione all'informale, dall'astrazione all'arte concettuale. Si trova ad esempio una lapidaria scritta in piombo di Umberto Mariani "XXV APR.", contrapposta all'eterea bandiera di Bruno Munari dove gli spazi dei colori bianco rosso e verde hanno dei rapporti dimensionali inusuali. Il terreno di confronto, di questa delicata età politica, si prefigge di estendere la partecipazione anche ad artisti che, per ragioni generazionali, hanno solo appreso dalla storia il concetto di "Resistenza", senza averne avuto esperienza diretta. Dunque, con questa mostra, viene esplorata anche la memoria indiretta di giovani artisti come la giapponese Oki Izumi, che assembla le sue tipiche lamelle di vetro in una corposa bandiera italiana. Tra i partecipanti segnaliamo alcuni componenti del "Gruppo T" e del movimento "Nuova Tendenza", come Gabriele De Vecchi, con la stilizzazione filiforme della bandiera italiana, e Davide Boriani con la graduale trasformazione formale e cromatica di una falce e martello in un punto interrogativo. Tutte le opere sono documentate in un libro-catalogo edito da L'Agrifoglio e sono accompagnate, oltre che dai saggi dei curatori, da una selezione di poesie sulla Resistenza: da Montale a Ungaretti, da Pavese a Quasimodo, Volponi, Pratolini. La qualità delle opere è buona ed è certamente importante "non dimenticare", ma queste mostre a tema - con dotazione di un modulo d'intervento standard, la "bandiera", che secondo Carmine Iandoli "non va inteso come archetipo oggettivo e mimetico della realtà, ma come spazio creativo" - hanno il limite di rimanere ferme su se stesse quasi come espressione di un puro esercizio di stile. Sorge allora un dubbio: si può rappresentare la Resistenza non avendola vissuta in forma fisica o ideologica, senza cadere nella retorica cinquant'anni più tardi? Se questa non viene confrontata con la drammatica e irrecuperabile realtà internazionale contemporanea, dove la violenza nazista opera ancora sotto nuovi nomi, credo se ne vanifichi lo scopo. Celebrando i cinquant'anni dalla Liberazione, occorre denunciare gli assassinii e i genocidi quotidiani fatti in nome della "pulizia etnica". Non si può non dichiarare che il fascismo non è morto e i campi di concentramento sono più attivi che mai in città chiamate Vukovar, Bihac, Mostar, Sarajevo. A Sarajevo la resistenza dello spirito è in corso oggi, in questo momento, mentre leggete questo articolo. E noi occidentali, anziché rifugiarci nelle maglie delle memoria, dovremmo smettere di guardare e, nell'ambito della cultura, prendere iniziative contro uno status inaccettabile. Vorrei proporre, a questo proposito, l'immagine di una torta di compleanno fatta dal gruppo di artisti "Trio-Sarajevo". La torta, con 50 candeline accese, ha la forma della svastica: così vivono a Sarajevo i 50 anni dalla fine del nazismo. Manuela Gandini |
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