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Cinquant'anni
dopo civiltà ambrosiana - settembre-ottobre 1995 Tema: Prendete un supporto di ceramica a forma rettangolare, ondulato come una bandiera al vento, e trasformatelo in opera d'arte. Ipotesi azzardata, improponibile, anticreativa? Affatto. Forse, i promotori di una mostra per celebrare la Resistenza hanno forzato la mano su un centinaio di artisti invitati chiedendo loro di esprimersi sulla base di un modello prefissato, ma la risposta è apparsa trionfale. In novantacinque hanno accettato la sfida fornendo opere di elevato tenore, dimostrando che la parola "patria" possiede ancora un senso a livello d'arte. È così nata "Memorie: cinquant'anni dopo, 1945-1995", con il patrocinio dell'ANPI e dell'Associazione partigiani cristiani. L'idea appartiene al prof. Carmine Iandoli che ha curato i collegamenti con gli artisti e la messa in scena dell'esposizione itinerante tra città grandi e minori (a Milano, in luglio, a palazzo Bagatti Valsecchi con ampio consenso di pubblico). Un bel successo. Non è una mostra come tante altre perché rispecchia un momento emblematico della nostra storia, sfoltito dalla retorica tanto a lungo presente in questo tipo di celebrazioni. Del resto, senza ricorrere a ipocrisie, Milano sa creare come pure è capace di rivedere. In proposito, il caso delle "memorie" appare quanto mai significativo e richiama - sotto diverso aspetto - il recente volume Cattolici ambrosiani per la libertà della NED ove l'argomento viene illustrato in termini emotivamente distaccati e storicamente autentici. Uno dei due curatori, presentando la monografia, che accompagna la mostra, sostiene che "troppe volte l'arte è stata chiamata a giustificare il potere" e che occorre modificare questa mentalità. "Vorremmo utilizzare - afferma Iandoli, un originale pittore, presente nella rassegna - opere e testi per un messaggio più ampio, metastorico, che veda il concetto di resistenza estendersi ad ogni atto di espressione artistica, cioè di ragione e libertà, contrapposto a qualunque forma di totalitarismo". Opere e testi, dunque. Proprio così in quanto la rassegna alterna espressioni figurative a versi poetici in stretta connessione con il tema centrale. Emblematica appare l'apertura con le parole di Paolo Volponi, membro del comitato d'onore, ma scomparso prima che la mostra potesse realizzarsi: "Nella disfatta gioiosa del 1943... noi trovavamo un dio felice, vertiginoso e finito come una ruota di fuoco" (da La paura). Al ricordo artistico degli eventi dopo mezzo secolo hanno contribuito personalità assai diverse che offrono al visitatore la possibilità di vedere riuniti - quasi in una antologica dell'arte contemporanea italiana - firme davvero illustri. Spiega il De Santi: "A fronte di chi, con l'effimero e lo stupidario televisivo, si mostra sagace nell'occultare il vero, un'arte che si voglia resistente è insomma, in primo luogo, recupero di criticità e di identità nazionale". A tanto hanno concorso firme come Bodini e Caruso, Comencini e Consagra, Fiume e Isgrò, Migneco e Minguzzi, i due Pomodoro e Sassu, Timoncini e Treccani, facendo un torto a coloro che non vengono nominati. Ciò che risalta maggiormente è la fantasia dell'interpretazione, nonostante i limiti formali della materia: e qui il plauso conforta l'intero collettivo. La chiarezza del linguaggio asseconda la memoria e rende un buon servigio a coloro, specialmente ai giovani, che desiderano capire per meglio ricordare. Gianandrea de Antonellis |
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