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La sua voce già sentivo dolce
sopra le nuvole del mio cuore:
era una voce d'amore,
innocente, di contrada,
scesa da un davanzale,
o lungo le strade e i campi,
avvertimento a un popolo che fugge
nella disfatta gioiosa del 1943.
Era una voce di contadina
che chiamava qualcuno alla vendemmia
in quell'ottobre deserto e militare;
che liberava il cuore dell'Italia
ritrovando un amore,
tra la vecchia bufera sulle case,
sugli agresti castelli e i poveri poderi.
Allora nelle stanze aperte sulle strade,
nella speranza illune della notte,
o nei giorni dispersi tra le macchie
nell'attesa di un fuoco,
sue erano le parole di fede:
chiari scioglieva gli amici dai nemici,
i vivi dai morti,
il bene dal male,
come tagliava un pane tribolato
e divideva a morsi il companatico.
Nell'amore accanito ma gentile
nei cunicoli o covacci,
tra gli odori di lane militari,
nelle stanze affollate, quando il cielo era basso,
umano tra pioggia e fango,
tra le logge e il fumo,
nel firmamento ignudo
della sua voce,
noi trovavamo un dio felice,
vertiginoso e finito
come una ruota di fuoco.
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