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Dante Strona

Credevamo di essere eterni

Non chiedermi di infrangere lo specchio
dove la memoria sa il riflesso di anni
che sfumano: grato a questo tempo d'ombre
arrossate d'autunno ove tutto si vaglia
con giusta misura, non ho rimpianti: mio
è stato il momento più bello, un frutto
da mordere correndo, rubando ogni istante
alla clessidra del destino. Mi sorregge
ora la dignità del silenzio; distratti
e lontani, giovani smarriti già pesano
parole oltre calanchi d'argilla morta:
dalla mia sponda sento questa voragine
che ci separa. Vano, ormai, il racconto
dei nostri calvari e di spine infinite,
intatto l'antico orgoglio ha trasparenza
di bruma che vela la poesia dei ricordi.

Ma - allo specchio - ancora, mi sorride
il ragazzo dal cencio rosso, dal volto
ambrato di sole, e d'altri volti cari
mi parla, bianchi, svaniti nel mattino
quando credevamo d'essere eterni, saturi
d'una giovinezza che premeva sul cuore.
E restare cosi non son vuote le mani:
si tace, con umiltà, su un dono d'amore.